Ho sempre sospettato che i coloratissimi pupazzotti dei Teletubbies, cartone animato ideato dalla BBC e popolarissimo fra i piccoli telespettatori di tutto il mondo, fossero strani e inquietassero più timore che simpatia, ma da qui a sostenere che rappresentino una "minaccia gay" mi pare eccessivo. Pare invece che proprio per questo in Polonia l'intera serie debba essere messa sotto osservazione. Ewa Sowinka parlamentare dell'ultracattolica Lega delle famiglie polacche, una sorta di Binetti polacca, e capo dell'Agenzia governativa per la protezione dei bambini ha chiesto a una speciale commissione di psicologi di studiare gli effetti che il programma potrebbe avere sulla psiche del pubblico infantile. Tutta colpa di Tinky Winky, il Teletubbie viola, che va sempre in giro con una sgargiante borsa magica rossa. La signora onorevole ha dichiarato preocupatissima che in un primo momento non ci ha neanche fatto caso, ma poi quando si è accorta (non si capisce come) che Tinky Winky è un maschio le si è acceso l’omo-tarlo del dubbio: "E se tutto ciò potesse avere una connotazione omosessuale?" Che il pupazzo in questione sia omosessuale è fuori discussione, ma dico io, non c'è bisogno di un pool di psicologi per capirlo. Non avete notato che oltre alla sua inseparabile borsettina, è viola, il colore che più gay no si può e che la sua antenna è a triangolo proprio come il simbolo del gay-pride?! Certo che con tutti i sacrosantissimi problemi dei bambini è proprio così urgente e importante polemizzare con un pupazzetto che, per la cronaca, non ha sesso e quindi sessualità?! E in ultima analisi: e se fosse veramente gay sarebbe davvero così grave?
30 maggio 2007
29 maggio 2007
Habemus sindaco!
Tutti i giornali stamattina riportano i risultati degli ultimi due giorni di tornata elettorale. Come al solito le considerazioni sono contrastanti: tutti hanno vinto e nessuno ha perso. Ma fra pagine e pagine di autorevoli opinioni che analizzano la situazione di questa nostra povera Italia schiacciata dall'esperienza elettorale, ha attirato la mia attenzione una notiziola alquanto curiosa: il caso di un sindaco eletto con soli quattro voti. Agli scrutatori sarà bastato solo un minuto, ieri dopo le 15, per sapere chi ha vinto la curiosa battaglia tra furbi e furbetti che si è scatenata a Sambuco, piccolo paesino della valle Stura provincia di Cuneo.
Il tempo di scrutinare cinque schede e il nome del futuro sindaco con consiglio comunale annesso era già bello che fatto. Questa curiosa situazione nasce dal tentativo maldestro di aggirare la legge elettorale che, dopo due mandati consecutivi, impone al sindaco uscente di farsi da parte. Migliore soluzione? Non presentare liste e far commissariare il Comune dal prefetto per qualche mese. In autunno poi, una volta costretti a tornare alle urne, l’ex sindaco si era detto pronto a ricandidarsi e magari governare per altri dieci anni. Nessuno lo ammette, ma di sicuro i 127 abitanti di Sambuco devono averla pensata così. Invece da stamane si ritrovano con sindaco e consiglieri originari da tutte le parti d’Italia e non uno del paeso o per lo meno della valle. Erano straconvinti che il «trucco» avrebbe funzionato tanto che hanno persino scartato l’ipotesi di costituire una lista “fasulla” con gente del posto e con l’ex sindaco nelle retrovie a fare da vice. Al rischio che arrivasse una lista da fuori, erano comunque convinti che, dal momento che Sambuco conta pochi residenti e che la legge in caso di lista unica prevede che a votare sia 50% più uno degli aventi diritto, il risultato sarebbe stato lo stesso: elezioni non valide e commissariamento. Guai fare i conti senza l’oste: da Torino di liste ne sono arrivate ben due, e il quorum non serve più; basta un solo voto valido per far scattare l’elezione di sindaco e di otto consiglieri per la maggioranza e quattro per l’opposizione, anche se nessuno li ha scelti. Per settimane il passaparola ha invaso il paese: «Nessuno vada a votare o ci mettiamo nelle mani dei forestieri». Un impegno che ha resistito fino alle 16 di domenica quando due valleggiani si sono presentati al seggio. Poco dopo, altri . L’ultima speranza dei più in paese era che nel segreto dell’urna questi avessero lasciato la scheda in bianco, o almeno nulla. Speranza svanita alla chiusura dei seggi: cinque i voti, quattro preferenze per un candidato e una per l’altro. Certo che “professionisti della politica”, che si presentano ovunque ci sia una tornata elettorale ,gente che della politica ha fatto un mestiere per trarne utili di varia natura, possa governare un Comune senza sapere dov’è il municipio è davvero una vergogna , ma che questo serva da lezione agli abitanti di Sambuco e a quelli di tutti i piccoli centri d'Italia.
25 maggio 2007
Il Santo del giorno
Ben'arrivato Venerdì. No, non mi sto riferendo al tanto sospirato giorno della settimana atteso da tutti i lavoratori, ma a un bimbetto nato in quel di Genova, al quale i genitori hanno messo nome Venerdì. No, Robinson Crusoe e il suo fedele amico-servitore non c’entrano. C'entra invece un decreto che pare preveda guai nel caso si decidano per i figli nomi che fanno riferimento al sesso o siano «ridicoli e vergognosi». I genitori sostengono che otto mesi fa, quando si sono racati all'anagrafe, nessuno aveva sollevato obiezioni: l'addetto li guarda un po' perplesso, ma manda avanti la pratica,con la sola avvertenza che ai sensi di legge probabilmente dovrà fare una segnalazione alla procura, in quanto il nome Venerdì rientra nella categoria di quelli ridicoli o vergognosi». Da lì comincia l’odissea: la pratica finisce sul tavolo del tribunale di Genova, il quale sentenzia che Venerdì non può chiamarsi così: o i genitori provvedono a cambiargli i connotati anagrafici, oppure saranno gli stessi giudici ad appioppare al bimbo il nome del santo del giorno della sua nascita. Sfortuna vuole che Venerdì sia nato il 3 settembre e debba dunque chiamarsi Gregorio Magno. Povero piccolo! Mamma e papà hanno deciso di resistere fino all’ultimo grado di giudizio, convinti di avere più di un asso nella manica. La mamma, anzi, cala "il carico da undici", sostenendo che se la figlia di Totti può chiamarsi Chanel non vede perchè suo figlio non possa essere Venerdì. E in effetti... Due domande mi sorgono spontanee: come chiameranno un loro eventuale secondogenito? Sabato? E se il piccolo fosse nato il prossimo 3 giugno, lo chiamavano Trinità? Beh... questo non sarebbe poi tanto male.
24 maggio 2007
124.000 euro per una merda!
In giro c'è gente strana. Gli artisti, ormai è risaputo, sono stravaganti, ma i collezionisti, se possibile, sanno esserlo anche di più. Ieri a Milano alla casa d'aste Sotheby's un collezionista europeo (del quale evidentemente è meglio non sapere né il nome né la nazione) si è aggiudicato per la modica cifra di 124.000 euro una deliziosa scatoletta, in particolare la diciottesima di novanta confezionate dal maestro Piero Manzoni (nato il 13 luglio 1933, morto il 06 febbraio 1963). Si tratta di un'opera d'arte sfornata, è il caso di dirlo, nel 1961 e intitolata provocatoriamente "Merda d'artista". La cosa bizzarra è che nessuno, ma dico nessuno, in cinquant'anni non ha mai osato chiedere cosa in realtà contenessero queste scatolette. L'artista di Soncino (Cremona) s'è guardato bene dal dare delucidazioni sui 30 grammi di sostanza presumibilmente organica confezionata nelle sue opere e s'è portato magistralmente il segreto nella tomba. Quello di ieri è stato il record toccato da una delle novanta rappresentanti del genio di Manzoni e mi ha dato di che pensare: potenzialmente se c'è qualcuno disposto a spendere 124.000 euro per 30 grammi di presunta, e sottolineo presunta, merda, quanto si potrebbe guadagnare con tutta quella in cui sta affogando Napoli e la Campania? L'importante è confezionarla con cura...
22 maggio 2007
Dell'Utri e le sponsorizzazioni
Vorrei sottoporre all'attenzione di coloro che si imbattono casualmente o volutamente in questo blog una lettera del giornalista Marco Travaglio pubblicata quest'oggi sul blog di Beppe Grillo.
"Caro Beppe,vorrei comunicare a tutti gli amici del blog l’ultima notizia scomparsa di una lunga serie. Il 15 maggio 2007 la III Corte d’appello di Milano ha condannato il senatore forzista Marcello Dell’Utri e il boss della mafia di Trapani Vincenzo Virga a 2 anni per ciascuno per tentata estorsione. Nessun giornale, a parte l’Unità e il Corriere della sera, l’ha scritto. Nessun telegiornale o programma televisivo, tranne Annozero, l’ha detto. L’Ansa, onde evitare che qualcuno se ne accorgesse, ha dedicato alla cosa ben sette righe e mezza, sotto questo titolo depistante: “Sponsorizzazioni: confermata in appello condanna Dell’Utri”. Come se il reato fosse la sponsorizzazione. Nel testo, si spiegava (si fa per dire) che l’estorsione riguardava imprecisate “modalità di sponsorizzazione della Pallacanestro Trapani”. Quanto a Virga, l’Ansa “dimenticava” di spiegare che è un boss mafioso, vicinissimo a Provenzano, arrestato dopo lunga latitanza nel 2001 e condannato all’ergastolo per mafia e omicidio.Riepilogo brevemente i fatti. Nel 1990 il presidente della Pallacanestro Trapani, Vincenzo Garraffa, medico e futuro deputato del Pri, cerca uno sponsor per la sua squadra, neopromossa in serie A2. Publitalia, la concessionaria Fininvest presieduta da Dell’Utri, lo mette in contatto con la Dreher-Heineken. Si firma il contratto: per 1 miliardo e mezzo di lire, i giocatori esibiranno sulle magliette il logo della “Birra Messina”, marchio italiano della multinazionale tedesca. Garraffa paga la provvigione a Publitalia: 170 milioni. Ma due funzionari della concessionaria berlusconiana battono cassa e pretendono da lui altri 530 milioni, in nero. In pratica, Publitalia vuole indietro la metà del valore della sponsorizzazione, ovviamente sottobanco. Garraffa rifiuta e, ai primi del ’92, incontra Dell’Utri a Milano. Gli spiega di non disporre di fondi neri e di non poter pagare senza fattura. Dell’Utri – come denuncerà Garraffa – lo minaccia: “Ci pensi, abbiamo uomini e mezzi per convincerla a pagare”. Garraffa non paga. E, qualche settimana dopo, riceve nell’ospedale di cui è primario una visita indimenticabile: quella del capomafia Vincenzo Virga, scortato da un guardaspalle. Virga è di poche parole: “Sono stato incaricato da Marcello Dell’Utri e da altri amici di vedere come è possibile risolvere il problema di Publitalia”. Garraffa ribatte: “Senza fattura, non intendo pagare”. E Virga: “Capisco, riferirò. Se ci sono novità, la verrò a trovare…”.L’anno seguente la Pallacanestro Trapani, nonostante i successi sul campo, non trova più uno sponsor. Garraffa s’inventa un’autosponsorizzazione antimafia, ovviamente gratuita, con lo slogan “L’Altra Sicilia”. Che gli porta fortuna: la squadra viene promossa in serie A. Maurizio Costanzo invita lui e i suoi giocatori a parlarne al “Costanzo Show”, su Canale5. Ma poi, all’ultimo momento, cambia idea e disdice l’invito. Garraffa ci vede lo zampino di Dell’Utri. E denuncia tutto ai magistrati di Palermo. Che trasmettono gli atti, per competenza, al Tribunale di Milano. Qui Dell’Utri e Virga vengono condannati per tentata estorsione aggravata a 2 anni a testa. L’altro giorno, la Corte d’appello ha confermato le condanne.Ora manca soltanto la Cassazione. Dell’Utri intanto è stato condannato definitivamente a 2 anni per false fatture in altre sponsorizzazioni gonfiate e in primo grado a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Naturalmente, visto il pedigree, rimane a pie’ fermo in Parlamento e viene pubblicamente elogiato per la sua “intelligenza” da diessini dalemiani come Nicola Latorre (niente a che vedere con Pio La Torre, ammazzato dalla mafia) e ossequiosamente intervistato da giornali e tv su tutto lo scibile umano, fuorchè sulle sue condanne.Come ricorda Daniele Luttazzi nel suo ultimo spettacolo, Daria Bignardi l’ha recentemente invitato alle “Invasioni barbariche” su La7 e ha subito premesso: “Non parliamo dei suoi processi”. Dell’Utri, comprensibilmente, non ha avuto nulla da obiettare. Anzi, ha aggiunto che il suo giornalista preferito è Luca Sofri. Che, guardacaso, è il marito della Bignardi. Ecco, dei processi di Dell’Utri è meglio non parlare mai. Il senatore ha uomini e mezzi per convincere."
Marco Travaglio
"Caro Beppe,vorrei comunicare a tutti gli amici del blog l’ultima notizia scomparsa di una lunga serie. Il 15 maggio 2007 la III Corte d’appello di Milano ha condannato il senatore forzista Marcello Dell’Utri e il boss della mafia di Trapani Vincenzo Virga a 2 anni per ciascuno per tentata estorsione. Nessun giornale, a parte l’Unità e il Corriere della sera, l’ha scritto. Nessun telegiornale o programma televisivo, tranne Annozero, l’ha detto. L’Ansa, onde evitare che qualcuno se ne accorgesse, ha dedicato alla cosa ben sette righe e mezza, sotto questo titolo depistante: “Sponsorizzazioni: confermata in appello condanna Dell’Utri”. Come se il reato fosse la sponsorizzazione. Nel testo, si spiegava (si fa per dire) che l’estorsione riguardava imprecisate “modalità di sponsorizzazione della Pallacanestro Trapani”. Quanto a Virga, l’Ansa “dimenticava” di spiegare che è un boss mafioso, vicinissimo a Provenzano, arrestato dopo lunga latitanza nel 2001 e condannato all’ergastolo per mafia e omicidio.Riepilogo brevemente i fatti. Nel 1990 il presidente della Pallacanestro Trapani, Vincenzo Garraffa, medico e futuro deputato del Pri, cerca uno sponsor per la sua squadra, neopromossa in serie A2. Publitalia, la concessionaria Fininvest presieduta da Dell’Utri, lo mette in contatto con la Dreher-Heineken. Si firma il contratto: per 1 miliardo e mezzo di lire, i giocatori esibiranno sulle magliette il logo della “Birra Messina”, marchio italiano della multinazionale tedesca. Garraffa paga la provvigione a Publitalia: 170 milioni. Ma due funzionari della concessionaria berlusconiana battono cassa e pretendono da lui altri 530 milioni, in nero. In pratica, Publitalia vuole indietro la metà del valore della sponsorizzazione, ovviamente sottobanco. Garraffa rifiuta e, ai primi del ’92, incontra Dell’Utri a Milano. Gli spiega di non disporre di fondi neri e di non poter pagare senza fattura. Dell’Utri – come denuncerà Garraffa – lo minaccia: “Ci pensi, abbiamo uomini e mezzi per convincerla a pagare”. Garraffa non paga. E, qualche settimana dopo, riceve nell’ospedale di cui è primario una visita indimenticabile: quella del capomafia Vincenzo Virga, scortato da un guardaspalle. Virga è di poche parole: “Sono stato incaricato da Marcello Dell’Utri e da altri amici di vedere come è possibile risolvere il problema di Publitalia”. Garraffa ribatte: “Senza fattura, non intendo pagare”. E Virga: “Capisco, riferirò. Se ci sono novità, la verrò a trovare…”.L’anno seguente la Pallacanestro Trapani, nonostante i successi sul campo, non trova più uno sponsor. Garraffa s’inventa un’autosponsorizzazione antimafia, ovviamente gratuita, con lo slogan “L’Altra Sicilia”. Che gli porta fortuna: la squadra viene promossa in serie A. Maurizio Costanzo invita lui e i suoi giocatori a parlarne al “Costanzo Show”, su Canale5. Ma poi, all’ultimo momento, cambia idea e disdice l’invito. Garraffa ci vede lo zampino di Dell’Utri. E denuncia tutto ai magistrati di Palermo. Che trasmettono gli atti, per competenza, al Tribunale di Milano. Qui Dell’Utri e Virga vengono condannati per tentata estorsione aggravata a 2 anni a testa. L’altro giorno, la Corte d’appello ha confermato le condanne.Ora manca soltanto la Cassazione. Dell’Utri intanto è stato condannato definitivamente a 2 anni per false fatture in altre sponsorizzazioni gonfiate e in primo grado a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Naturalmente, visto il pedigree, rimane a pie’ fermo in Parlamento e viene pubblicamente elogiato per la sua “intelligenza” da diessini dalemiani come Nicola Latorre (niente a che vedere con Pio La Torre, ammazzato dalla mafia) e ossequiosamente intervistato da giornali e tv su tutto lo scibile umano, fuorchè sulle sue condanne.Come ricorda Daniele Luttazzi nel suo ultimo spettacolo, Daria Bignardi l’ha recentemente invitato alle “Invasioni barbariche” su La7 e ha subito premesso: “Non parliamo dei suoi processi”. Dell’Utri, comprensibilmente, non ha avuto nulla da obiettare. Anzi, ha aggiunto che il suo giornalista preferito è Luca Sofri. Che, guardacaso, è il marito della Bignardi. Ecco, dei processi di Dell’Utri è meglio non parlare mai. Il senatore ha uomini e mezzi per convincere."
Marco Travaglio
21 maggio 2007
In autostrada, contromano
Quanto volte ho sognato di poterlo fare, schizzare in autostrada contromano, di notte, con i fari che ti puntano e si fanno sempre più vicini e minacciosi fino a scartarti all’ultimo. Lanciarsi contro il buon senso e la normalità. Fregarsene della razionalità e concentrarsi sulle sensazioni. Sentire finalmente l’odore della paura. E percepire lo sguardo sgomento degli automobilisti annichiliti dall’orribile sorpresa. Ho sempre sognato poterlo fare, ma il terrorismo della rappresaglia penale mi ha sempre fermato. Almeno finora.
Sono infatti qui per confessare: ieri sera ho realizzato il mio sogno perverso. In autostrada ho guidato contromano, per almeno una ventina di chilometri, e vorrei cogliere l’occasione per ringraziare di cuore chi ha permesso che ciò finalmente accadesse: la Società Autostrade. Grazie.
Stavo rientrando a Milano sulla A4, inghiottito nel traffico che si muoveva a singhiozzo per via del “traffico intenso” (non per i numerosi cantieri, sia mai) quando un’indicazione luminosa in mezzo alla carreggiata in prossimità di Brescia mi dice di scegliere: o destra, o sinistra. Brescia o Milano. Scelgo sinistra, ma stavolta non centra la politica. La deviazione mi fa transitare sulla carreggiata opposta, che si muove in direzione Venezia. Il resto lo lascio alla vostra immaginazione. Ora attendo impazientemente il calare delle tenebre per riprovare le stesse emozioni. Questa volta ci metterò anche del mio… stanotte si va a fari spenti.
Sono infatti qui per confessare: ieri sera ho realizzato il mio sogno perverso. In autostrada ho guidato contromano, per almeno una ventina di chilometri, e vorrei cogliere l’occasione per ringraziare di cuore chi ha permesso che ciò finalmente accadesse: la Società Autostrade. Grazie.
Stavo rientrando a Milano sulla A4, inghiottito nel traffico che si muoveva a singhiozzo per via del “traffico intenso” (non per i numerosi cantieri, sia mai) quando un’indicazione luminosa in mezzo alla carreggiata in prossimità di Brescia mi dice di scegliere: o destra, o sinistra. Brescia o Milano. Scelgo sinistra, ma stavolta non centra la politica. La deviazione mi fa transitare sulla carreggiata opposta, che si muove in direzione Venezia. Il resto lo lascio alla vostra immaginazione. Ora attendo impazientemente il calare delle tenebre per riprovare le stesse emozioni. Questa volta ci metterò anche del mio… stanotte si va a fari spenti.
16 maggio 2007
Streap-tease di gruppo
Cosa si è disposti a fare pur di apparire in tv? C’è chi sventola preservativi alle spalle degli inviati dei tg, c’è chi da anni ogni sabato sera si fa ricoprire di fischi cantando “O sole mio” accompagnandosi con l’arpeggio dei peli delle ascelle e c’è chi si fa isolare nel primo reality a disposizione, casa, isola o fattoria che sia. In questo contesto si è poi inserito il dramma della community, psicopatologia collettiva le cui origini sono da rintracciare nel web. Come troppo spesso accade una buona idea si trasforma per effetto boomerang in una persecuzione e così da qualche tempo l’utile scambio di informazioni o opinioni caratteristico dei forum internettiani è diventato un altro simpatico modo per spillare quattrini al nostro credito telefonico. I soldi non valgono nulla a confronto della possibilità di conoscere tanti nuovi amici. Così, qualche tempo fa, abbiamo potuto assistere alla nascita di interessanti esperimenti sociologici come The Club, una community di cerebrolesi che si presentavano tra un gin tonic e l’altro ballando d’innanzi una telecamera. Lo ammetto, sono stato affascinato dal fenomeno e non ho potuto fare a meno di fermarmi a osservare l’irresistibile demenza di questi simpatici giovanotti che si auto-sputtanavano in improbabili video messaggi. Lo scopo di chi si presentava era semplicemente quello di apparire per poter attrarre nuove amicizie. Lo scopo di chi offriva il servizio era invece quello di guadagnare sugli sms che altri cerebrolesi spedivano da casa per contattare i protagonisti dei video. Il sistema (malato) si è naturalmente evoluto. Il risultato si chiama “Tutti nudi” e l’effetto, se possibile, è ancora più demenziale. Il numero dei protagonisti è stato limitato a 110, i quali sono chiamati a esibirsi in un contest per il miglior streap-tease. A giudicare la bravura, la simpatia o l’avvenenza degli spogliarellisti in erba è il pubblico da casa che tramite immancabile sms manifesterà la propria preferenza e consentirà a uno di loro di portarsi a casa una motocicletta (per gli esperti una piccola 125 di dubbio gusto). Vien da sé che l'importante non è ovviamente il premio quanto l'ambita possibilità di mettersi in mostra su video, perché ciò che conta davvero oggi giorno è andare in tv. Altrimenti non vali nulla.
11 maggio 2007
La Sposa Im-Perfetta
Pensavo davvero di aver visto di tutto nei reality show, invece il nuovo ennesimo e angosciante intrattenimento finto realista, La Sposa Perfetta, ha saputo ancora stupirmi. Presentato come un programma diverso e garbato, il format si basa sul presupposto piuttosto antico, ma neppure troppo, che la sposa debba piacere alla suocera; ecco allora che uno stuolo di giovani ragazze sono oggetto di una sorta di asta per aspiranti mogli e rinchiuse in una villa sono sottoposte alle forche caudine di altrettanti aspiranti mariti-padroni ed esaminate da suocere aguzzine.
Naturalmente come ogni reality che si rispetti anche qui i colpi di scena, taroccati o veritieri non è dato a sapere, non mancano. Dopo aver assistito a qualsiasi tipo di psicodramma familiare, dall'annuncio della separazione in diretta tv ai ricongiungimenti strappalacrime, passando per le risse verbali in pubblico, La Sposa Perfetta ha aperto un nuovo fronte della spettacolarizzazione del privato.
La settimana scorsa, uno degli impenitenti scapoloni del reality, Max, un incrocio fra il figlio di Putin e Gollum de “Il signore degli anelli”, è stato messo al corrente in diretta televisiva dell’esistenza di un figlio illegittimo. E come se non bastasse, gli autori hanno ben pensato di spargere altra benzina sul fuoco, mandando in onda una registrazione in cui lo stesso si confidava con un altro dei partecipanti, confessandogli di avere avuto anni fa un altro figlio ma di non averlo mai riconosciuto. Recidivo il ragazzo!
Questa settimana invece lo scandalo ha colpito una delle ragazze in cerca di marito. Sara, presentatasi come castigata ragazza acqua e sapone, ha fatto non poco parlare di se. Prima ha inaspettatamente rivelato di essere una ragazza madre (oddio il padre non sarà mica quel mostriciattolo di Max!?. Il sospetto a questo punto sembra essere l'unica cosa legittima!!) poi è saltato fuori che alla tenera età di 18 anni ha partecipato ad un altro reality. Un programma dove dodici sexy ragazze si allenavano quotidianamente per prepararsi al combattimento finale in diretta, in un mix perfetto di antagonismo, sensualità e un pizzico di erotismo. Hai capito la nostra brava ragazza!? E questo sarebbe il reality che si distingue dagli altri per leggerezza e buon gusto? Con questo cast? Ma quello che ancor più mi sconvolge è che qualcuno, dalle autorevoli pagine dei giornali, ha voluto fare de La Sposa Perfetta uno studio antropologico, rivendicando che il reality in questione ha aperto degli interrogativi importanti sul nucleo familiare moderno e creato tante domande nel telespettatore medio, utopisticamente alla ricerca di spiragli etici.. Se dalla rivelazione in diretta di un figlio segreto si è voluto fare una riflessione sui costumi e sulla psicologia della società odierna, immagino quale trattato di anatomia comparata si potrebbe ricavare dalla rievocazione in video del passato discinto di Sara. A quando uno studio di chimica organica basato sul fenomeno traspiratorio di Orsacchio? E poi dicono che i reality show sono diseducativi... ma va!
Naturalmente come ogni reality che si rispetti anche qui i colpi di scena, taroccati o veritieri non è dato a sapere, non mancano. Dopo aver assistito a qualsiasi tipo di psicodramma familiare, dall'annuncio della separazione in diretta tv ai ricongiungimenti strappalacrime, passando per le risse verbali in pubblico, La Sposa Perfetta ha aperto un nuovo fronte della spettacolarizzazione del privato.
La settimana scorsa, uno degli impenitenti scapoloni del reality, Max, un incrocio fra il figlio di Putin e Gollum de “Il signore degli anelli”, è stato messo al corrente in diretta televisiva dell’esistenza di un figlio illegittimo. E come se non bastasse, gli autori hanno ben pensato di spargere altra benzina sul fuoco, mandando in onda una registrazione in cui lo stesso si confidava con un altro dei partecipanti, confessandogli di avere avuto anni fa un altro figlio ma di non averlo mai riconosciuto. Recidivo il ragazzo!
Questa settimana invece lo scandalo ha colpito una delle ragazze in cerca di marito. Sara, presentatasi come castigata ragazza acqua e sapone, ha fatto non poco parlare di se. Prima ha inaspettatamente rivelato di essere una ragazza madre (oddio il padre non sarà mica quel mostriciattolo di Max!?. Il sospetto a questo punto sembra essere l'unica cosa legittima!!) poi è saltato fuori che alla tenera età di 18 anni ha partecipato ad un altro reality. Un programma dove dodici sexy ragazze si allenavano quotidianamente per prepararsi al combattimento finale in diretta, in un mix perfetto di antagonismo, sensualità e un pizzico di erotismo. Hai capito la nostra brava ragazza!? E questo sarebbe il reality che si distingue dagli altri per leggerezza e buon gusto? Con questo cast? Ma quello che ancor più mi sconvolge è che qualcuno, dalle autorevoli pagine dei giornali, ha voluto fare de La Sposa Perfetta uno studio antropologico, rivendicando che il reality in questione ha aperto degli interrogativi importanti sul nucleo familiare moderno e creato tante domande nel telespettatore medio, utopisticamente alla ricerca di spiragli etici.. Se dalla rivelazione in diretta di un figlio segreto si è voluto fare una riflessione sui costumi e sulla psicologia della società odierna, immagino quale trattato di anatomia comparata si potrebbe ricavare dalla rievocazione in video del passato discinto di Sara. A quando uno studio di chimica organica basato sul fenomeno traspiratorio di Orsacchio? E poi dicono che i reality show sono diseducativi... ma va!
10 maggio 2007
Pazza Inter... ora ti riconosco
Una volta mi proclamavo interista, e lo facevo per giunta con orgoglio, a testa alta, perché la mia era la squadra che i torti arbitrali li subiva (beh quasi sempre...). Poi c'è stato IL mondiale e tutti siamo diventati tifosi, tutti insieme appassionatamente a cantare l'inno nazionale, tutti a scoprire di appartenere a un popolo. Finalmente l'Italia si è sentita una nazione unita. Niente più sterili polemiche nord-sud, destra-sinistra, autoctoni o extra, morigerati od omo. Poi fu la volta delle sentenze su calciopoli e il Belpaese è tornato a dividersi: anti-Moggi, tanti, e pro-Moggi, pochi ma convinti. La conseguenza a tavolino fu lo scudetto assegnato all'Inter. Il 14° della sua storia, il secondo della mia memoria. Ricordo quanto esultai nel lontano (sigh) 89... Tanta attesa, tante difficoltà, tanti volti e altrettanti nomi passati sulle spalle di quella casacca, campionati giocati fino all'ultimo nella speranza di agguantare l'ambito trofeo, polemiche ed ectoplasmatici rigori(chissà perché fantasma poi, io li vedevo benissimo), promettenti vittorie e sonore batoste, goal da cineteca e risultati tennistici, e su tutto aleggiava l'irreparabile onta del derby. Lo scudetto vinto a tavolino è stato per me una delusione atroce, l'ennesima da mite interista. Tanta fatica, tanto sudore per scoprire, o meglio per avere la conferma, che tutto, ma proprio tutto, altro non era che una clamorosa presa per il culo. Bene, da italiano ci sono abituato, ma un po' di amarezza rimane. Si arriva dunque al più recente campionato, la marcia trionfale dell'Inter com'è stata definita da alcune eccelse menti ed io non ho seguito praticamente nessuna partita. Inizialmente perché ripudiavo il sistema, in seguito anche, lo ammetto, per scaramanzia. Guardavo la "mia" squadra con la coda dell'occhio, sbirciando i risultati soltanto alla fine delle gare. Alla fine ho esultato, sì, lo ammetto. Ho esultato ma con tono dimesso. In tutti questi mesi infatti non sono riuscito a riappassionarmi al nostro beneamato campionato di serieAtim, mi spiace, non ce l'ho proprio fatta. Semplicemente percepivo una crescente difficoltà nel riconoscere quella squadra così determinata e vincente con l'Inter che avevo lasciato prima dei mondiali. Nessun risultato altalenante! Vittoria dopo vittoria, una vera schiacciasassi. E per il tifoso nessun patema. Mi spiace ma io non ci sto! Se devo essere interista, almeno lasciatemi soffrire.
Stamattina apro il giornale e scorro le marcature della partita di ieri sera... finalmente la mia Inter è tornata!
09 maggio 2007
Epitaffio della musicassetta
Stamattina aprendo il giornale il mio cuore ha sussultato. Uno struggente articolo annunciava l’inesorabile “morte ufficiale”, o, cercando di essere meno melodrammatici, il pensionamento della cara vecchia musicassetta, MC per gli amici. In Gran Bretagna infatti, la Currys, la più grande catena di elettronica, ha annunciato proprio oggi che interromperà la vendita delle “cassettine” e che questo Natale sarà l'ultima occasione per trovare sugli scaffali dei suoi negozi gli impianti stereo dotati di riproduttore di audiocassette (si facciano avanti i collezionisti!). Una bella botta per chi come me, ormai vicino ai trenta, attraverso le MC ricorda con nostalgia i suoi anni adolescenziali. Mi sembra di appartenere a un’altra epoca quando ripenso che da ragazzina possedevo il mio mangianastri (a dire il vero ce l’ho ancora: non fanno più i prodotti di una volta!) ed ero sempre pronta, mentre ascoltavo la radio, a premere in simultanea REC e PLAY per registrare istantaneamente la mia canzone preferita al solito interrotta dalla squillante voce dello speaker, assicurandomi così una versione “inedita”. Salvavo il momento!
Quante compilation improvvisate, create appositamente per l’amica speciale, o per portarle alla festicciola di compleanno a base di Fanta e Dixi o più tardi semplicemente per ascoltare in macchina la sera sotto casa con il fidanzatino, la canzone strappalacrime del momento.
Protagonista era sempre lei: l’audiocassetta. E poi REW e ancora FFW… per cercare disperatamente l’attacco…
Ho scoperto però con grande piacere, e con non poco stupore, che sono ancora in circolazione quasi 500 milioni di musicassette, chissà quanti invenduti nei magazzini dei negozi, quante conservate o meglio dimenticate in scatoloni impolverati di soffitte e cantine o ben nascoste sotto qualche sedile di automobile, nello storico cofanetto di plastica nera. Uno stretto e lungo nastro marrone che si srotola per i cinque continenti.
Che ne sarà di DiscoBimbo Compilation, delle CantaStorie, di Cristina D’Avena e tutte le sue Fivelandia ?!
E’ strano, ma oramai dobbiamo abituarci a questi cambiamenti repentini della tecnologia, immagino che la prossima vittima, a rigor di logica, debba essere la videocassetta. Che si prepari al patibolo, allora!
Del resto basta che io pensi alla mia nipotina Bea che, a 4 anni, è già passata al digitale senza nemmeno mai imbattersi nell’analogico. Per farle vedere le avventure della Signora Minù ho dovuto cercare disperatamente un dvd nei cesti dei centri commerciali e oggi si seleziona da sola l’episodio che preferisce sui DVD delle Winx.
Addio allora musicassetta, purtroppo sono certa che non si tratta soltanto di un arrivederci; sei stata una grande amica e compagna di momenti indimenticabili, e anche se non hai la qualità audio del CD e men che meno la praticità dell’MP3, avevi nel mio cuore un posto speciale e ti terrò sempre nel cassetto del mio comodino infilata nel mio Walkman, per poterti riascoltare nei momenti di maggior nostalgia.
Gli adolescenti potranno ridere a questo mio romanticismo, ma sono sicura, cari amici trentenni, che d’ora in avanti vi incontrerò sempre più spesso al mercatino delle pulci. Dite che sia prematuro organizzare una mostra scambio?
Quante compilation improvvisate, create appositamente per l’amica speciale, o per portarle alla festicciola di compleanno a base di Fanta e Dixi o più tardi semplicemente per ascoltare in macchina la sera sotto casa con il fidanzatino, la canzone strappalacrime del momento.
Protagonista era sempre lei: l’audiocassetta. E poi REW e ancora FFW… per cercare disperatamente l’attacco…
Ho scoperto però con grande piacere, e con non poco stupore, che sono ancora in circolazione quasi 500 milioni di musicassette, chissà quanti invenduti nei magazzini dei negozi, quante conservate o meglio dimenticate in scatoloni impolverati di soffitte e cantine o ben nascoste sotto qualche sedile di automobile, nello storico cofanetto di plastica nera. Uno stretto e lungo nastro marrone che si srotola per i cinque continenti.
Che ne sarà di DiscoBimbo Compilation, delle CantaStorie, di Cristina D’Avena e tutte le sue Fivelandia ?!
E’ strano, ma oramai dobbiamo abituarci a questi cambiamenti repentini della tecnologia, immagino che la prossima vittima, a rigor di logica, debba essere la videocassetta. Che si prepari al patibolo, allora!
Del resto basta che io pensi alla mia nipotina Bea che, a 4 anni, è già passata al digitale senza nemmeno mai imbattersi nell’analogico. Per farle vedere le avventure della Signora Minù ho dovuto cercare disperatamente un dvd nei cesti dei centri commerciali e oggi si seleziona da sola l’episodio che preferisce sui DVD delle Winx.
Addio allora musicassetta, purtroppo sono certa che non si tratta soltanto di un arrivederci; sei stata una grande amica e compagna di momenti indimenticabili, e anche se non hai la qualità audio del CD e men che meno la praticità dell’MP3, avevi nel mio cuore un posto speciale e ti terrò sempre nel cassetto del mio comodino infilata nel mio Walkman, per poterti riascoltare nei momenti di maggior nostalgia.
Gli adolescenti potranno ridere a questo mio romanticismo, ma sono sicura, cari amici trentenni, che d’ora in avanti vi incontrerò sempre più spesso al mercatino delle pulci. Dite che sia prematuro organizzare una mostra scambio?
04 maggio 2007
Minorenni aspiranti Jenna
Ognuno ha una sua perversione. Piccola o grande che sia non importa. Importa piuttosto se questa perversione porti o meno a compiere atti illegali o ad approfittare dell'altrui "ingenuità", così come pare sia accaduto di recente a Bari. Notizia fresca di stamattina è l'arresto di un agente di commercio con l'hobby della fotografia reo di aver convinto giovani e sexy minorenni (si dice addirittura un vaghissimo "decine") a interpretare sotto la sua regia, improvvisati film a luci rosse. In cambio offriva per ognuna di loro un book fotografico dichiarandosi un operatore ben inserito nel mondo della moda e garantendo visibilità alle modelle in erba sulle più autorevoli riviste di settore. Ora, la perversione di quest'uomo consisteva nell'essere regista per un giorno, per potersi vedere i propri film hard sperimentando le proprie idee e misurando la propria abilità di cineasta della domenica. Per raggiungere il suo scopo raccontava una piccola bugia, è vero, ma alla fine, apparentemente, non costringeva nessuno a fare ciò che non voleva... Ora è indagato per favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione (anche se non è chiaro cosa ci facesse poi con questi filmini) e per aver organizzato scambi di coppia nel pub che gestiva (location anche delle riprese). D'accordo non si fa, non ne posso che convenire, ma c'è da dire che queste ragazzine per diventare veline sono veramente disposte a tutto! Insomma, alla fine dei conti, il nostro trentaduenne di Bari non ha fatto altro che sfruttare il sistema, già evidentemente malato di suo. La denuncia pare sia partita dai reclami di un paio di mamme, sull'orlo di una crisi di nervi perché dopo mesi ancora non avevano ricevuto nessuna telefonata da nessuna rivista famosa o da qualche prezzolato agente di moda... "Allora ci ha fregato!!"
Le ragazzine volevano fare le veline, lui voleva diventare come Corona. Tutti seguivano il loro ideale modello di vita. È il modello che fa schifo.
Le ragazzine volevano fare le veline, lui voleva diventare come Corona. Tutti seguivano il loro ideale modello di vita. È il modello che fa schifo.
03 maggio 2007
Tette in alto
La tetta è bella. Per dirla alla Celentano, la tetta è “rock”. Non prendetemi per un maniaco o per un feticista (a dire il vero in genere sono più un fan di altre rotondità anatomiche), ma ritengo che la tetta sia superiore dal punto di vista “comunicativo”. Sarà la sua posizione alta e frontale, sarà la sua conformazione che richiama evidentemente un bersaglio, saranno i ricordi della nostra prima infanzia che sopraggiungono ogni qualvolta posiamo gli occhi su una scollatura, ma il famoso decolleté è per noi maschietti un’autentica calamita. E le donne, ahimè, lo sanno benone. Per questo la tetta è veramente potente. La consapevolezza è ciò che arma la tetta. La tetta diventa così uno strumento periglioso, in grado di controllare la nostra volontà. Lo è e lo è sempre stato, ciò che è aumentato negli anni è invece la consapevolezza. È come un medicinale con il triplo del principio attivo originale, o come il caffè-dello-studente o come un doppio Magnum Double per intenderci… In ogni caso si rischia l’infarto. Perché questa “riflessione”? È sbocciata la primavera, anche se la pioggia delle ultime ore sembra voler sostenere il contrario, e con lei è sbocciata, come ogni anno, la bellezza femminile. In prima fila ovviamente le tette, pronte a distoglierci dalla nostre attività, a renderci più gioviali e ottimisti ma anche pronte a metterci nei guai. Le donne mature ed emancipate, sicure e fiere della propria sensualità, hanno da qualche stagione a questa parte sempre più concorrenza: aumenta progressivamente la forbice delle provocatrici estendendosi nell’età spingendo oltre tanto l’estremo superiore che quello inferiore. L’uso colposo della tetta ha allargato il suo target. La stagionata ben conservata o magari ristrutturata non è una novità e sempre meno lo è la giovine Lolita. L’altro giorno mi trovavo casualmente in treno, ma poteva succedere ovunque (questa volta Trenitalia non centra nulla), quando un fatto del tutto normale mi ha spinto ad alcune considerazioni. Una scolaresca di adolescenti ha invaso il vagone e un gruppetto di allegre ragazze in gita mi ha circondato. Mi sono trovato mio malgrado a osservare quanto accadeva attorno a me (e non solo quello) e a sentirmi per un attimo un vecchio maniaco. Acquisita la consapevolezza che non si trattava di una sexy candid camera e che (purtroppo) non mi trovavo nel set di un film a luci rosse, ho cercato di guardare le fanciulle con aria distaccata, in qualità di blogger carico di buoni propositi scientifici. Osservavo le giovincelle nel loro look radical chic, sembravano appena uscite dalle pagine di una rivista di moda, con le loro pettinature assolutamente perfette e il loro sculettare da provette veline e non ho potuto fare a meno di pensare a quando in gita ci andavo io, una decina di anni fa (non è passato poi così tanto tempo). Allora ricordo che le mie compagne di classe, non me ne vogliano, non erano particolarmente provocanti e che neppure le più esotiche studentesse degli altri licei, magari incontrate proprio durante la gita, non erano poi così conturbanti. La maggior parte vestiva jeans, felpa e calzino di spugna sotto le Nike o Adidas a seconda della parrocchia, e la famosa tuta nera con le tre bande bianche. Le più concrete portavano scarpe da tennis Reebook e T-shirt Champions, mentre le più classiche una sobria camiciola a quadri in parte coperta da un collegiale maglioncino di cotone. In ogni caso i capelli erano indomabili e mai, e poi mai, si sarebbe potuto scorgere qualcosa al di sotto del collo. La scollatura non era bandita di per se stessa, faceva semplicemente parte di un altro mondo, una realtà adulta e lontana che la rendeva inconciliabile con il serioso ambiente scolastico. Le tette non ce le aveva nessuno (tranne l’amico grassottello) e quella che era naturalmente dotata si guardava bene dal metterle in mostra per non essere appellata come “tettona” dalle compagne invidiose e faceva di tutto per tenerle nascoste col terrore di essere additata come zoccola. Kelly di Beverly Hills 90210 era qualcosa d’irraggiungibile. A riguardarla adesso… non fa lo stesso effetto… A ricreazione non si sentiva parlare la compagna di banco di tanga, perizoma o cullotte e il push-up rimaneva un mistero per i più. Oggi la provocazione è stata definitivamente sdoganata e il lifestyle della modella/velina/letterina ha sostituito definitivamente quello della brava mogliettina anni 50 e quello della donna in carriera anni 80. Così si va a scuola truccate, imbellettate, profumate e agghindate come una volta non si faceva nemmeno per attirare l’attenzione del più fico del liceo. Creme per il viso, creme per la cellulite e creme per evidenziare il seno sono fondamentali per apparire. Sempre più strumenti e sempre più utilizzatrici. Un business, ecco che cos’è oggi la tetta. Poco importa se così facendo si rischia di scambiare una sedicenne per una nota pornodiva.
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