Paul Hewson, quarantasettenne irlandese, è sempre prodigo di consigli per tutti. Musicista di indiscusso talento, è una persona dotata di una sensibilità eccezionale e dopo aver venduto dischi a palate ha capito che la sua posizione e la sua arte possono essere impiegate non solo per guadagnare cifre sbalorditive, ma anche per attirare l’attenzione delle masse su problemi seri. Paul, che noi tutti conosciamo con il benevolo nomignolo di Bono, si è dato un gran da fare negli ultimi anni per sensibilizzare l’opinione pubblica e i governi su temi delicati come l’Aids e la fame nel mondo, e più volte ha esortato i presidenti delle nazioni occidentali a ridurre se non cancellare i debiti dei paesi poveri. Lui e i suoi tre compagni di ventura, dal canto loro, sono famosi per fare molta beneficenza, specie a se stessi. Pur essendo dublinesi doc hanno fatto propri gli italici precetti del predica bene e razzola male. Non hanno commesso nulla di illegale, almeno fino a indagini concluse, ma hanno di certo già fatto una pessima figura. Il governo irlandese pretende troppo dai diritti d’autore delle loro opere così hanno trasferito la società che controlla i loro interessi, la U2 Ltd, nei Paesi Bassi, dove a quanto pare gli artisti sono meno tartassati dalle imposte. Curioso poi notare come i loro nomi non figurino nel direttivo di tale società e delle sue controllate, ma che a bilancio siano presenti i sontuosi stipendi di cinque dipendenti (forse Bono, The Edge, Clayton, Mullen e il manager McGuinness?) che da soli hanno guadagnato diciotto milioni di euro, quasi il totale di quanto incassato dalla U2 Ltd, al loro primo anno di assunzione. Al di là dei soldi che possono aver (meritatamente) guadagnato consumando i polpastrelli sulle corde delle loro chitarre, per i quali non possiamo che nutrire profonda invidia, resta la delusione per un comportamento decisamente poco coerente oltre che tristemente inelegante. Ma come diavolo farà ora l’Irlanda a cancellare il debito dei paesi poveri senza il contributo degli U2?
29 ottobre 2007
25 ottobre 2007
Una vita da operaio
Enzo Rossi è un uomo con degli ideali, ma non è un idealista. È un self-made man di ultima generazione, sicuramente uno dei pochi di quest’epoca, forse uno degli ultimi. A quarantadue anni la sua condizione di imprenditore (possiede un pastificio industriale a Campofilone, Ascoli Piceno) lo pone in una posizione privilegiata, ma è uno che sa cosa significa sudarsi la pagnotta o nel suo caso la tagliatella, perché anche lui si è trovato in difficoltà, come non perde occasione di ricordare. La sua sensibilità sull’argomento salariale ha scatenato in lui uno spirito empirico senza precedenti: non è giusto che le sue due figlie non conoscano il sacrificio, non è giusto che non sappiano quanto sono più fortunate della media dei loro compagni di scuola. Il signor Enzo Rossi è tornato a casa una sera con la soluzione, e tra una carezza e un buffetto l’ha confidata alla moglie: vivremo per un mese come le nostre operaie. Detto, fatto: per un mese gli stipendi in casa Rossi sono stati portati a mille euro. Mille per l’illuminato Enzo e mille per la paziente moglie, sua collaboratrice. In tutto duemila per far campare la famigliola di quattro persone. Senza aiuti esterni, ma anche senza mutuo o affitto, rate o bollette… Soltanto un mese. Per tanti la normalità, per loro un’eccezione. Non sappiamo quale fosse lo standard precedente all’esperimento, ma sappiamo per certo che al venti del mese il signor Rossi si accorge di aver finito i soldi e gli succede in modo drammatico: si trova al bar all’ora dell’aperitivo e nell’intenzione di offrire da bere ad alcuni amici, infila una mano in tasca realizzando l’amara scoperta. Un fulmine sulla via per Damasco: se non ce la fa lui non può farcela nessuno dei suoi dipendenti. Infervorato se ne torna in ufficio per firmare l’aumento di duecento euro per le sue amate operaie. Bravo, anzi bravo due volte: la prima per il bell’esempio, la seconda per essersi prodigato a dirlo ai giornalisti. Imprenditore, amministratore e addetto stampa. Manca solo che scenda in politica.
09 ottobre 2007
Conflitto d'emittenze
L’Unione Europea si appresta ad agire contro l’Italia. Saremo puniti. E questo perché il Parlamento non è ancora stato in grado di approvare il disegno di legge che il Ministro per le Telecomunicazioni Paolo Gentiloni ha presentato lo scorso gennaio, che ha come unico scopo quello di dare un’aggiustatina alla famosa Legge Gasparri e accolto da Berlusconi con le seguenti parole: “non è un disegno di legge, ma un piano criminale verso il capo (il capo?) dell’opposizione e verso le sue proprietà private”. Una legge che, vale la pena ricordarlo, è oscura persino al suo stesso autore. Vi ricordate gli incentivi sull’acquisto dei decoder per il digitale terrestre tanto pubblicizzati da diventare un tormentone? Quella! Una legge che secondo Fedele Confalonieri “regala a Mediaset un bacino di crescita potenziale di 1-2 miliardi di euro”. Una legge che fu sbandierata ai quattro venti come simbolo di grande progresso dal governo berlusconiano quanto bollata come immorale da chi allora stava all’opposizione (ahh il conflitto d’interesse…). Bene, questa bella legge fu bocciata dall’Unione Europea. Questo però non è stato altrettanto pubblicizzato con volantini e spot. Applausi dalla sinistra. Smorfie di disappunto dalla destra. Cosa è successo dopo? Niente. Risultato? Nessuno l’ha ancora cambiata, ma se gli italiani non dicono nulla perché ormai talmente assuefatti agli abusi da aver perso la capacità di indignarsi, per una volta tanto ci pensa Bruxelles a dire la sua. Come al solito la destra fa i propri interessi e la sinistra… pure. Intanto in Europa ci ridono dietro. Tanto per cambiare.
05 ottobre 2007
Clemente rastrella
La gente è proprio cattiva. Facile prendersela con chi è più esposto e quindi più passibile di critiche. Provate un po’ voi a fare il Ministro della Giustizia, in un Paese come il nostro. Provate un po’ voi a farlo dopo essere stato testimone di nozze di un pentito mafioso. (Pentito sì, ma dopo il matrimonio…) Provate un po’ voi in tempi così difficili, tempi in cui mandare un politico a quel paese pare essere più facile di una moda. Provate voi a far rispettare la vostra posizione sotto l’attacco mediatico di Flores e compagni (compagni mica a caso) in prima serata. L’onorevole (onorevole mica a caso) Mastella ci è rimasto male poverino. Ma come? Lui che ha fatto, fa e ha tutte le intenzioni di fare tanto per il nostro Paese viene accolto a male parole e additato come simbolo della mala-politica? Siamo un popolo di ingrati. La delusione dev’essere stata atroce per uno che ha tanto a cuore gli italiani. Forse ha anche pianto. Di certo ha posto il capoccione sul petto della signora Mastella e piagnucolato “ce l’hanno tutti con me, anche quei cattivoni dei blogsss”. Come può una moglie premurosa rimanere insensibile a un fatto come questo? Ingiurie! Falsità! Menzogne! Il popolo del web (una massa schiumosa non meglio identificata, ndr) sta rovinando la vita dei Mastella! È profondamente ingiusto. È ora che i blog chiudano. Se devono parlare male di suo marito è ora che spariscano. Giù la maschera, prendetevi le vostre responsabilità o vi denuncio. E a chi? Ai Carabinieri? Alla Polizia? No, direttamente al… Ministro della Giustizia, che ora chiede di oscurare (sottolineo oscurare) per primo l’indirizzo http://www.mastellatiodio.blogspot.com/. Egregio Ministro, da cittadino italiano (e dunque come suo datore di lavoro) mi permetto di chiederle con quale accusa. Quale sarebbe il reato contestato al suddetto blog e a tutti gli altri coinvolti nelle polemiche di questi giorni come http://www.dementemastella.blogspot.com/ o http://www.clementepastella.blogspot.com/? È un reato dichiarare il proprio odio o antipatia verso un’altra persona? Posso essere d’accordo che non sia una cosa elegante o opportuna, ma non capisco perché non si possa fare. Certo io non so cosa si prova, forse io per primo sarei infastidito se sapessi che ci sono persone talmente logorate dalla mia presenza da spendere il loro tempo per produrre materiale su di me anziché andare a giocare a squash (anche se a pensarci bene forse ne sarei lusingato…). Diffamazione? Calunnie? Sostengono forse il falso? Sono forse entrate in Rai perché raccomandate da Ciriaco De Mita? Hanno forse vinto la loro prima elezione nel 1976 dopo aver telefonato ad ogni elettore della sezione dalla sede Rai di Napoli fingendosi il direttore della medesima e consigliando la propria candidatura? Percepiscono forse la pensione dall’ordine dei giornalisti dopo un anno e poco più di servizio e poche migliaia di euro di contributi figurativi pur ricevendo ogni mese una sontuosa indennità parlamentare? Rastrelliamo caro Ministro, rastrelliamo i dissidenti prima delle prossime elezioni. Ma stia tranquillo sappiamo che lei le vincerà. Non importa se con la destra o la sinistra: Mastella c’è e ci fa, ci sarà e ci farà.
p.s.: se fondassimo un Mastella Antifans Club per quale violazione della buona educazione potrei essere condannato? Mamma tu che dici, mi arrestano?
04 ottobre 2007
Io la speranza la butto nei rifiuti
L’emergenza energetica non è che all’inizio. La nostra schiavitù dal petrolio sta per iniziare la sua fase terminale. Il tono apocalittico è d’obbligo: il greggio è arrivato a costare 80 dollari a barile e le previsioni dicono che entro Natale 2008 sfonderà quota 100. Anche la AIE, l’agenzia per l’energia dell’Ocse, lo ha ammesso: entro il 2012 (fra quattro anni!!) la domanda potrebbe superare l’offerta e di conseguenza il mondo si troverà a corto di petrolio. Il quadro non è per nulla confortante. Il capo degli economisti della AIE Fatih Birol ha dichiarato recentemente a Le Monde: “Senza una crescita esponenziale della produzione irachena, nel 2015, quale che possa essere l’offerta dell’Arabia Saudita, il mondo andrà a sbattere contro un muro”. Al momento la stima delle risorse petrolifere, tra nuove scoperte e sfruttamento dei giacimenti già esistenti, non dovrebbe arrivare ai duemila miliardi di barili. Sembra tanto? Non lo è. Ne consumiamo infatti trenta miliardi l’anno, ma la cifra è destinata ad aumentare nell’immediato futuro in maniera esponenziale, tanto da far prevedere alla stessa AIE un consumo nel 2025 di 116 milioni di barili di greggio al giorno. Un’enormità. Buona parte della colpa di questa esplosione è da imputare ai paesi in via di sviluppo come la Cina e l’India il cui boom industriale comporta scompensi sugli assetti economici mondiali. Fonti energetiche incluse. Le nuove economie crescono e sono affamate. Per di più inseguono modelli di consumismo occidentali che, nello scenario che si prefigura, diventano pericolose iperboli proprio nel momento in cui tali modelli mostrano i propri limiti. Non ci sono solo la Cina e l’India, sono molti altri i mercati per i quali si prevede un aumento della domanda, primi fra tutti gli stessi Paesi dell’Opec, che per rispondere alla crescente richiesta interna saranno costretti a diminuire le esportazioni. Non basterà dunque far lievitare il prezzo. In pratica la produzione nei prossimi anni aumenterà, ma non abbastanza da rispondere agli aumenti della domanda che entro breve supererà di gran lunga l’offerta. In questo scenario drammatico si è però acceso il lumicino di una speranza. Si tratta di un’invenzione, una vera invenzione, una di quelle che possono realmente cambiare le sorti del mondo. Al di là della retorica la scoperta dell’ingegner Luciano Patorno, genovese di 63 anni, e della sua socia in affari Nancy Ho (biologa statunitense di 71 anni) potrebbe traghettarci verso un futuro migliore, un futuro sostenibile, senza per giunta intaccare le nostre abitudini quotidiane. I due sono riusciti a convertire in etanolo i rifiuti urbani, dando vita alla migliori delle ipotesi: energia pulita ed economicamente vantaggiosa per tutti, nessun escluso. Ci liberiamo dai rifiuti e produciamo energia, senza affamare il Terzo Mondo. Sembra un’utopia e invece è realtà: in Canada è già in funzione la prima “bioraffineria” progettata dall’ingegner Patorno che produce, partendo da rifiuti ricchi di cellulosa, vero e proprio carburante e lo vende alla Shell. Si tratta di E85: 85% di etanolo e 15% di benzina. Una miscela che con un piccolo ritocco ai motori attuali (niente di rivoluzionario dunque anche per gli amanti del rombo classico) potrà essere utilizzato al 100% dalle nostre vetture, trattandosi di alcol etilico completamente privo di acqua. Non solo: l’E85 presenta un contenuto energetico tre volte superiore a quello dell’etanolo tradizionale ed elimina del 75% la produzione di anidride carbonica, principale causa dell’effetto serra; abbassa del 5-10% le emissioni di ossidi di azoto e zolfo ed è privo di metalli pesanti; azzera le polveri sottili ed è totalmente biodegradabile; infine ha un prezzo alla produzione di 0,30 euro al litro, vale a dire lo stesso della benzina verde e la metà del bioetanolo derivato dal mais. Controindicazioni? Nessuna! E dove sta la fregatura? Per una volta tanto la fregatura non c’è. Il costo di una raffineria secondo Patorno è di circa 65 milioni di euro. In pratica se lo Stato decidesse di costruirne 100 investirebbe circa 12.500 miliardi di lire (in pratica un terzo della finanziaria) liberando per sempre il Paese dalla schiavitù della benzina. Sarà per questo che nessuno in Italia non ha ancora mosso un dito?
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