Kakà ha detto no ai soldi. Il Milan, pure. Di comune accordo? Pare di sì.
Milanisti o non, tutti i calciofili hanno tirato non uno ma due sospiri di sollievo. Il primo perché il nostro prestigioso campionato non sarà costretto a privarsi dei pregiati piedini del brasiliano, il secondo, e ben più profondo, perché questa storia dimostra che nel calcio italiano, più volte criticato per la mancanza di valori, esiste ancora chi rifiuta una somma esagerata di denaro per rimanere con la squadra che ama, con il paese dove si trova bene, con la gente, i tifosi per i quali lui è una bandiera.
Già e a ricordarci tutte queste belle cose è stata la società di Berlusconi, chi l'avrebbe detto? (A quanto pare non riesco a non nominarlo, come neppure un solo telegiornale intervenuto sulla vicenda).
Tutta l'Italia oggi si è dunque svegliata orgogliosa di Kakà, il ragazzo dall'immagine pulita, cristallina, che non poteva andarsene così, come un comune mercenario. Ha rinunciato, e il Milan con lui, a cifre enormi per rimanere tuttavia non in una squadra di promozione, ma in una delle più ambite piazze calcistiche. Forse varrebbe la pena ricordare che il ragazzo non se la passa poi male nemmeno qui in Italia, dove è coccolato da pubblico e sponsor e inseguito dai pubblicitari e dagli stilisti. E ora lo sarà ancora di più! Certo avrebbe potuto andarsene, ma non direi che rimanere sia un sacrificio, anzi. Guadagnasse 1.500 euro al mese lordi, sarei il primo a dargli del pirla, ma dato che il suo ingaggio da 9 milioni di euro lo pone già come il calciatore più pagato del mondo, forse il buon Kakà ha semplicemente preferito la cucina italiana al fish and chips di Manchester.
Il City poi... non me ne voglino i tifosi inglesi, non è neppure lo United...
p.s.: il buon Kakà ha detto di aver pregato tanto affinché Gesù lo aiutasse a prendere la decisione giusta. Ah, avessi anch'io i problemi di Kakà, magari mi avvicinerei di più alla beatitudine... terrena e divina.
20 gennaio 2009
19 gennaio 2009
Un popolo illuminato
Tra poco, pochissimo, Barack Obama pronuncerà le sue prime parole da Presidente degli Stati Uniti d'America. In tutto il mondo c'è trepidazione, con la consapevolezza di essere innanzi a un momento di rilevanza storica ma anche con la diffusa sensazione di essere davanti a una svolta.
Sarà così?
La voglia di cambiamento è evidentemente sentita da tutti.
Illusi?
Personalmente spero di no, ma temo che sulle spalle del promettente primo presidente nero vengano riposte tante, forse troppe speranze e non tutte motivate.
La stessa campagna elettorale non ha mai posto gli accenti sulle parole del candidato, perlomeno non quanto non abbia fatto con il colore della sua pelle. Tuttavia non possiamo non essere felici per la fine dell'era Bush.
Lo stesso popolo che otto anni fa votava George W. Bush e che soprattutto lo riconfermava quattro anni più tardi, ora appare come il più illuminato popolo della terra. Speriamo bene, e ricordiamoci che sono pur sempre americani.
Sarà così?
La voglia di cambiamento è evidentemente sentita da tutti.
Illusi?
Personalmente spero di no, ma temo che sulle spalle del promettente primo presidente nero vengano riposte tante, forse troppe speranze e non tutte motivate.
La stessa campagna elettorale non ha mai posto gli accenti sulle parole del candidato, perlomeno non quanto non abbia fatto con il colore della sua pelle. Tuttavia non possiamo non essere felici per la fine dell'era Bush.
Lo stesso popolo che otto anni fa votava George W. Bush e che soprattutto lo riconfermava quattro anni più tardi, ora appare come il più illuminato popolo della terra. Speriamo bene, e ricordiamoci che sono pur sempre americani.
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