21 dicembre 2006

Antiche Torture Milanesi

Milano - Ore 18.40, la pura cronaca: esco dall’ufficio, infilo le cuffie dell’IPod, calco la berrettina di lana sulla testa e mi avvio alla solita triste fermata del tram. Un paio di ombre grigie sfidano il freddo, sconsolate nell’attesa. Mi aggrego, divento a mia volta un’ombra grigia, regolo il volume per migliorare il mio isolamento, e attendo. I minuti passano ma di certo non volano. Controllo la tabella dell’orario, sorrido con ironia e torno nella mia posizione a fianco dell’insegna arancione.
Non facciamoci domande.
In questo punto della città passa soltanto questa linea. Attendo ma non passano tram ne in una direzione ne nell’altra e deduco che forse potrebbe essere successo qualcosa, un incidente o qualche guasto paralizzante. A stare fermi si congela: decido di guadagnare qualche metro e mi dirigo verso il centro della città, verso la mia meta, verso la fermata successiva. Con passo deciso raggiungo in breve tempo la seguente insegna arancione. Decido di attendere qualche istante, ma è inutile. Lo sconforto comincia a farsi strada. Faccio spallucce e riprendo il mio cammino. Una, due, tre fermate; ho già percorso almeno un paio di chilometri e l’unica consolazione è che se non altro non sto soffrendo il freddo. Decido di fare una sosta dopo aver visto uno sporadico tram passare timidamente in direzione opposta. Qualche minuto di pazienza e il brucone verde ha “già” fatto il giro di boa al capolinea e mi raccoglie assieme ai miei occasionali compagni di viaggio. Trovo persino posto vicino a due simpatiche (forse perché ho l’IPod a tutto volume) signore anziane e mi siedo. Si parte tra il giubilo della folla festante, stretta tra le pareti vetrate. Manca l’aria e il riscaldamento è al massimo, di conseguenza comincio a slacciarmi gli abiti nella speranza di sedare il mio malessere. Non mi sono ancora del tutto ambientato quando, dopo poche fermate, l’autista comunica tramite opportuno altoparlante che il suo tram termina la corsa.
Si prega di scendere.
E così faccio, rassegnato a ignorare i tacchi delle due vecchie che massacrano i miei poveri alluci. Sono ancora sul marciapiede come dieci minuti prima. Attendo speranzoso il passaggio di un nuovo tram che ovviamente non arriva e decido per optare per una soluzione alternativa: alla prima occasione salgo su una nuova linea che non conosco ma che credo vada nella mia direzione. Fortunatamente le mie sensazioni sono esatte e fiero di me stesso mi faccio traghettare verso la mia meta. Questo tram è però particolarmente lento, in effetti c’è traffico e le macchine costringono l’autista a numerosi rallentamenti, ma in tutta la strada percorsa fino a questo momento non ho ancora trovato la giustificazione per tutti questi disguidi. Alla fine riesco ad arrivare alla mia fermata, scendo e mi dirigo verso la metropolitana. Scendo in profondità e, tanto per cambiare, faccio ciò va fatto: attendo pazientemente. Qualche minuto e un accogliente carro bestiame si ferma davanti a me e alla massa informe di persone con cui coabito la banchina.
C’è calca, c’è ressa.
Trattengo il fiato per potermi incastrare tra un ragioniere, un immigrato e un giovane con la passione per i piercing facciali. Fortunatamente ho solo poche fermate, ma, è il caso di dirlo, sono sudate. A ogni stop scendo nel tentativo di fornire un passaggio utile ai più fortunati, ovvero quelli che sono arrivati a destinazione. Con un sospiro di sollievo i miei occhi accolgono la scritta che desideravano sui muri della stazione.
Sono arrivato.
Scendo sospinto dai condizionamenti provocati dalla legge sull’impenetrabilità dei corpi e mi ritrovo senza sforzo alcuno sulle scale mobili… guaste. Riemergo e affronto l’ultima passeggiata. Un po’ di traffico qua e là, qualche autista distratto, qualche parcheggiatore creativo e arrivo, quasi incredulo, a casa. Infilo la chiave nella toppa e controllo l’orologio: sono le 20.20. Ho quindi impiegato soltanto 1 ora e 40 minuti per percorrere circa una decina di chilometri.

Se qualcuno di voi pensa che io abbia voluto raccontare un fatto eccezionale, mi duole dirlo ma si sbaglia. Questo purtroppo rappresenta l’assoluta normalità. Difficile giustificare dunque il diffuso sentimento di sfiducia verso i mezzi pubblici, davvero non lo so spiegare. Prossimamente vi racconterò di come la città meneghina accolga coloro che cercano un’alternativa alla pubblica locomozione.

12 dicembre 2006

La pantera accerchiata

"devo stare molto attenta a chi ho intorno. Non posso più stare da sola con qualcuno perchè non so che intenzioni ha".
N. Campbell

Voi che intenzioni avreste? No, no, non è come pensate.
La Pantera non si fida più di nessuno, perché tutti coloro che rimangono a tu per tu con lei finiscono per denunciarla. Così da un po' di tempo anzichè sfilare sulla passerella si trova costretta suo malgrado a esibire il suo proverbiale passo felpato mentre entra ed esce dalle stazioni di polizia e dai tribunali. Tutta colpa di un caratteraccio che si port'appresso con meno disinvoltura ed eleganza di quanto non abbia sin qui fatto con il suo fondoschiena. Basta questa sua debolezza per renderla il bersaglio prediletto di persone senza scrupoli intenzionate a sfruttare la sua celebrità per portarsi a casa una comparsata sui giornali e qualche spicciolo. Finalmente però qualcuno sembra darle ragione e capire il suo stato d'animo di bersaglio. A Londra è stata infatti scagionata dalle accuse di aggressione nei confronti di un'operatrice anti-droga. Tuttavia non sono le uniche a pendere sulla sua testa: Naomi sta ancora attendendo il verdetto di una corte di New York, chiamata a giudicare le medesime imputazioni mossale dalla sua (ormai ex) domestica. Insomma povera Naomi, tutti a voler approfittare del suo unico punto debole. Ma dove andremo a finire di sto passo se non possiamo più nemmeno tirare gli oggetti in testa alle persone che ci stanno antipatiche…

06 dicembre 2006

Nuove delusioni notturne del marketing

Che delusione. 9 giorni fa c'erano curiosità, interesse, una divertita ammirazione. Sensazioni che hanno dovuto far posto a una delusione crescente maturata di giorno in giorno, vissuta in linea diretta sulle pagine del Corriere. Ora lo sappiamo non è merito della ATM. Peccato sarebbero stati degli autentici pionieri.
Ora sappiamo molte altre cose: sappiamo per esempio che la bella ragazza nella foto risponde al nome di Lisa, o, almeno, così ci hanno detto. Sappiamo che è una studentessa patavina ma di pisane origini. Sappiamo che sotto sotto il marketing c'è e si sta svelando in tutto il suo ambizioso progetto. La poesia sparisce, l'idea buona, concediamoglielo, resta. 9 giorni fa non sapevamo nulla e nulla sapevano i passeggeri di quel magico metrò. Tutti a interrogarsi, tutti a stropicciarsi gli occhi divertiti da quel mix di latex e sensualità. Nessuno di loro sapeva spiegare il fatto. La curiosità non ha pazienza, la curiosità preme, la curiosità ti porta su google. Un paio di giorni di click sono bastati perchè su quel magico metrò si palesasse la presenza di un cronista, o meglio una cronista (e per essere precisi del Corriere, guarda un po' te le coincidenze). Le nuove indiscrezioni del privilegiato testimone alimentano la cupidigia del curioso e allora eccolo accontentato: un paio di giorni ancora e arriva una prima immagine rubata, scattata dal videofonino del Sig. Chissachì. E' lei, la si vede, bella e sexi non sembra affatto frutto di fantasie ectoplasmiche; la foto narra agli occhi più di mille descrizioni ben congegnate. Ormai la cronista non è più sola e un collega completa le sue rivelazioni con l'indagine approfondita: lo scoop va inseguito è un obbligo morale oltre che professionale. Qualche ora e spunta un numero di telefono. Qualche ora ancora e il curioso può cibarsi di appetitosi assaggi della telefonata. E i contatti s'impennano per la felicità degli inserzionisti. La macchina non solo è partita ma ormai ha già scaldato per bene il motore, ma mentre il curioso affamato attende alla porta la definitiva rivelazione il clamore lo colpisce alle spalle. La TV sopita nell'attesa del proprio turno sfodera repentina il filmato. La prova schiacciante. Il dato definitivo, probatorio. Il filmato non lascia dubbi: anche chi non gioca abitualmente con i frame è in grado di discernere che si tratta di un manufatto. In bella evidenza trova poi soddisfazione il marchio di fabbrica, il nuovo brand, il link. L'operazione di marketing si avvia al proprio appagante orgasmo. La sigaretta post coito la fumerà in prima serata, non c'è dubbio.

04 dicembre 2006

Come ti ricarico la ricarica

Le catene di Sant’Antonio sono una gran scocciatura ammettiamolo. Tutti ne abbiamo avuto in vita la fastidiosa esperienza. Si va dalle e-mail/fattura del tipo "inoltra questo messaggio ad altre dieci persone oppure non scoperai più per il resto della tua vita" , alle accorate richieste d'aiuto per un bimbo affetto da una malattia rara, ai messaggi che promettono lauti guadagni semplicemente versando qualche spicciolo sul conto di un barbone russo. Non so voi, ma personalmente credo di riceverne in media una al giorno che puntualmente cestino ancora prima d’averne letto il contenuto per intero. Tuttavia il prezioso sistema del passaparola ha un gran vantaggio: quello di aumentare in breve tempo e a macchia d’olio il numero delle persone informate sulla questione. Nella massa informe di materiale spam che intasa quotidianamente la mia casella circa un anno fa la mia attenzione fu catturata da una mail che mi chiedeva di firmare una petizione per l’abolizione dei costi delle ricariche telefoniche e di inoltrare il messaggio a quante più persone possibile.Dal momento che la questione è una di quelle che non riesco proprio a mandar giù da quando ahimè sono entrata nel tunnel della telefonia mobile, non ho avuto alcuna esitazione: ho firmato e inoltrato il messaggio a tutta la mia modesta rubrica.
Oggi, 12 mesi dopo, vengo a sapere che quella petizione ha raggiunto le 800.000 firme, sottoscritta anche da esponenti politici sia di destra che di sinistra. Eh già pare proprio che le ricariche telefoniche siano indigeste ad un sacco di gente!
Da qui è partita l’indagine di due Authority: le Authority per la Concorrenza e per le Comunicazioni. L’Antitrust e l’Agcom. Altrimenti detti il Gatto e la Volpe.
L’approfondita indagine condotta da esperti di varia natura, coloro che noi rappresentiamo sempre come menti eccelse, ha permesso di arrivare a una illuminante conclusione riguardo i costi delle ricariche: rappresenterebbero "un’anomalia tutta italiana".
Una delle tante verrebbe da aggiungere.
Quanto ci sarà costata questa approfondita indagine?
Le Authority non si fermano qui e vanno oltre auspicando con un linguaggio degno del miglior chirurgo plastico: "un intervento di rimodulazione sul contributo di ricarica dei cellulari […] e ottenere in prospettiva rilevanti riduzioni di tariffe". Parlano come se sapessero solo ora del costo di ricarica. Folgorati come San Paolo sulla via di Damasco (o forse da 800.000 firme di cittadini imbestialiti) si augurano "una revisione, anche totale, del contributo fisso che renderebbe più trasparente le offerte e ne aumenterebbe la comparabilità". Ah! Come è solito dire un mio amico francese: "Sti cazzi!!".
Era sufficiente che dicessero: "le ricariche sono un furto, frutto di un cartello delle società di telefonia mobile in Italia, e vanno abolite". E che aggiungessero: "E’ un’anomalia tutta italiana anche grazie a noi, che prima di muoverci abbiamo bisogno di un calcio nel culo da parte degli italiani".
Voglio quindi rivolgere due inviti.
Il primo a tutti voi: firmate l’abolizione del costo di ricarica; almeno stavolta pare che la catena di Sant’Antonio sia servita a smuovere qualcosa che non sia una maledizione.
Il secondo al Governo: abolisca quanto prima le Authority, la loro funzione di presa per il culo dei cittadini italiani ci costa più delle ricariche.

03 dicembre 2006

Nuove frontiere giovanili del marketing

“Da grande voglio fare l’attrice”. Quante figlie hanno risposto così alla classica domanda di amici e parenti morbosamente interessati al futuro dei piccoli di casa. Un tempo però le attrici facevano i film, ora sono protagoniste dell’immaginario collettivo e per mantenere in vita se stesse, i propri più o meno leciti vizi e la propria immagine non possono permettersi di perdere una sola occasione per essere immortalate. Calendari, rotocalchi, screensaver, fondini per i cellulari… i loro volti e ancor più i loro corpi sono ovunque e guai non partecipare a questi grotteschi rituali. Poi sono arrivate letterine, veline, schedine e modelle varie sedicenti attrici che di fatto nessuno ha mai visto recitare. Però le loro tette e loro culi li conosciamo bene tutti. “Da grande voglio fare l’attrice” assume quindi una nuova dimensione e una piccola ruga di preoccupazione si fa spazio sulla fronte del padre di turno che già vede le candide carni della sua piccola far bella mostra di sé nell’abitacolo di uno Scania. “Da grande voglio fare l’attrice” lo continuava a ripetere anche una tredicenne di Ascoli decisa a far fruttare gli apprezzamenti dei compagnucci di scuola. Con grande spirito imprenditoriale la ragazzina è diventata ben presto impresaria di se stessa e ha fatto da sola quello che le sue colleghe più famose fanno solamente con il consiglio di fior fior di esperti di marketing e comunicazione. Ha visto i compagni divorare con occhi traboccanti cupidigia le pagine dei calendari e ha capito da sola cos’è quella cosa che fa girare il mondo; ha avviato una fiorente attività basata sulla propria immagine. Il tariffario era stabilito, e già c’era chi sfruttava la sua popolarità caricando sui prezzi che lei aveva generosamente mantenuto favorevoli per i suoi coetanei. Scattava su richiesta, faceva tutto da sola risparmiando anche sul costo del fotografo. Non servivano neppure apparecchiature particolari o costose, era sufficiente il semplice cellulare regalato dalla mammina e un mms. Le location erano degne del miglior film hard: la cameretta, il parco giochi dietro casa, i banchi di scuola… nemmeno la fantasia di Lachapelle avrebbe prodotto di meglio. Peccato (per il suo business) che tutto questo nella legislazione del mondo degli adulti sia pedopornografia. Le accuse per lei e per i suoi fans non sono lievi, tuttavia non credo sia questo l’aspetto rilevante della vicenda che va invece ricercato tra i modelli propinati dai media, eletti, loro e nostro malgrado, a ruolo di educatori.Ciò che ora non posso esimermi dal chiedere è: secondo voi con quale espressione il padre della piccola Eva Henger avrà accolto la notizia sulle attività extrascolastiche della figlia? Avrà detto “mia figlia è una zoccola?” o come probabilmente avrei detto io “mia figlia è un genio!”?