La televisione è in Italia argomento spinoso, almeno da un ventennio. È uno di quei tasti che si preferirebbe non premere, ma che si affronta con l'indolenza di chi è costretto a comporre i numeri a doppia cifra con la tastiera del telecomando. In ossequio all'italica usanza della cronica lamentela, non esiste fascia della nostra società che non abbia recriminato per una qualche scelta catodica. In questa bagarre sono però poche le voci che hanno detto qualcosa di pubblico interesse. Il rischio ben più concreto è di inciampare sul vituperato – ma impunito – conflitto d'interessi, spostando così l'attenzione dall'indecorosa qualità dei programmi televisivi italiani al dibattito politico e arrivare a banali considerazioni sulla controversa figura del nostro Presidente del Consiglio.
L'ultima, lieve, scossa tellurica alla nostra compagna domestica, è arrivata dal passaggio di Fiorello a SKY, notizia che apre le ostilità tra la tv satellitare e quella analogica o, se preferiamo, sfuma il confine tra le due. Non è un dispettuccio del magnate Murdoch nei confronti dell'ex-amico Berlusconi: leggerla come una volgare ripicca per la decisione del Governo di aumentare l'IVA sull'abbonamento SKY sarebbe fuorviante oltre che inesatto. Piuttosto, traspare la volontà dell'emittente satellitare di addentrarsi nell'intrattenimento popolare, rinforzando con “il varietà” l'offerta del bouchet che conta già Fox, E!, FX e molti altri. La scelta non è inedita: nel passato di Tele+ e D+ si potrebbero ripescare format di alcuni tra i comici più amati del nostro Paese. È sintomatica, però, di una tendenza che non ha risparmiato nessuno, nemmeno la BBC, da sempre ammirata quale baluardo dell'intrattenimento di qualità e ormai avviata a un infausto destino culturale.
La fine del duopolio in Italia o, meglio, la vittoria della TV privata sulla pubblica, è stata ufficializzata dal recente Festival di Sanremo, condotto, nella sua serata finale, da due purosangue della scuderia Mediaset e vinto da un suo prodotto. Se è vero che la concorrenza fa gli interessi del cliente, non si può che guardare con fiducia all'operazione di SKY, la quale, però, ha nell'abbonamento un evidente limite di diffusione in un paese già intollerante all'obolo RAI. Più soldi corrisponderanno a maggiore qualità? SKY otterrà la fiducia di un utente da tempo allettato con un miraggio della qualità invariabilmente disatteso? In tutto questo si inserisce un ricambio generazionale carente: i giovani non sono più attratti come dieci anni fa dalla televisione. Lo dimostrano le difficoltà di reti come AllMusic o MTV. L'attenzione si sta progressivamente spostando verso altre forme di intrattenimento, quali le WebTV, tematiche e assolutamente on demand, tra le quali non mancano già esempi illuminati come Bubblegum o come l'interessante esperimento "musicale" di Prontialpeggio.
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